
lunedì 18 novembre 2019
L’Iva e le contraddizioni della riforma del terzo settore - Articolo del 4 Novembre 2019 di Guido Martinelli
Fino ad oggi era consuetudine ritenere, vista la simmetria
esistente, che le attività c.d.
commerciali, poste in essere da un ente non commerciale, lo fossero sia ai fini delle imposte sul reddito che
dell’Iva. Analogamente per quelle istituzionali.
Le uniche eccezioni, fino ad oggi presenti, sono quelle legate
all’organizzazione di “viaggi e
soggiorni turistici” da parte di determinati enti associativi,
previste dai commi 5 e 6 dell’articolo 148 Tuir e i c.d. contributi corrispettivi per gestioni
convenzionate o accreditate da parte di pubbliche amministrazioni di
cui all’articolo 143, comma 3, lett. b), per i quali viene prevista la
loro decommercializzazione ai
fini delle imposte sul reddito, ma che non beneficiano di analoga agevolazione
ai fini Iva.
Questa sostanziale
sovrapponibilità (e quindi facilità gestionale da parte
degli enti non commerciali) verrà
in gran parte a cadere con la definitiva entrata in vigore
anche della parte fiscale del codice
del terzo settore (ricordiamo che sarà il primo periodo di imposta successivo alla messa a
regime del registro unico del terzo settore e del
pervenimento dell’autorizzazione da parte della Unione europea).
Nulla muterà solo per le associazioni elencate
all’articolo 148 Tuir che non dovessero, per scelta o per
espresso diniego legislativo, entrare nel terzo settore.
Ciò in quanto, per l’attività che qui interessa, continueranno a
godere del percorso parallelo previsto sia ai fini Iva che delle imposte
dirette dal combinato disposto di cui all’articolo 148 Tuir e 4 decreto Iva.
Le culturali che resteranno fuori dal Terzo settore, invece, perderanno la decommercializzazione dei
corrispettivi specifici da parte di associati e tesserati ai fini delle imposte
sui redditi ma manterranno l’agevolazione ai fini Iva.
Ciò in quanto non potranno più applicare l’articolo 148 Tuir ma potranno
continuare ad applicare il non assoggettamento ad iva di cui all’articolo 4 D.P.R. 633/1972.
Se, per le sportive che rimarranno “fuori” dal Terzo settore, nulla
cambia, diverse sono le conseguenze per quegli enti del terzo settore che scegliessero come
attività di interesse generale, lo sport dilettantistico.
Infatti, nei loro
confronti, non potrà più applicarsi la L. 398/1991 (articolo 89, comma 1, lett. c, del codice del terzo
settore). Ma questo significherà, tra l’altro, che non si potrà, quindi, applicare l’articolo 4 della
citata legge, che prevede l’assoggettamento a Iva delle cessioni dei diritti
sulle prestazioni degli atleti. Va detto che si potrebbe
arrivare comunque al mantenimento dell’obbligo, sulla base dei principi generali, ma è certo che
la disapplicazione di questa
norma è uno dei tanti effetti inattesi della riforma del terzo settore.
Analogamente, se è pur vero che, all’interno del terzo settore,
se si assumesse la veste di associazione
di promozione sociale, sarebbe possibile trovare, all’articolo 86, una norma molto simile (prescindendo
dai volumi d’ affari di applicazione) è altrettanto vero che questa norma non si applica per i tesserati. Pertanto la sportiva
terzo settore applicherà le imposte sui redditi sui ricavi riscossi per le
prestazioni effettuate in favore dei tesserati ma continuerà a non
assoggettarle ad iva in quanto l’articolo 4 del decreto
rimarrà invariato.
All’interno del terzo settore la disciplina Iva diventa il
convitato di pietra.
Infatti se ne parla poco e rimangono aperti molti dubbi interpretativi.
L’articolo 11 del
codice prevede che gli enti del terzo settore che esercitano la loro attività “esclusivamente o principalmente in forma di impresa”
sono soggetti all’obbligo di iscrizione al registro delle imprese.
A prescindere dalla considerazione che sarebbe importante
stabilire, in un documento di prassi, quand’è che si avvera questa ipotesi, è
chiaro che se io, come ente del
terzo settore, mi “autodenuncio” come soggetto che svolge attività di impresa,
diventa molto difficile pensare di sfuggire all’applicazione dell’Iva sulle
cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi che svolgo per fare tale
attività, salvo se li ricomprendessi tra quelli di cui all’articolo 86, previsto per odv e aps.
Ma attenzione, anche se
svolgo l’attività in forma di impresa, queste potrebbero rientrare nella
previsione di non commercialità di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 79 del codice del terzo settore.
Pertanto, saranno soggette ad Iva ma non soggette a imposte sui redditi.
Ma questo provocherà, poi, un problema di non facile soluzione
in termini di rivalsa Iva: potrò effettuarla su costi che, a quel punto, rientrano in una
attività “istituzionale”?
Altro tema che necessita approfondimenti interpretativi è quello
delle sponsorizzazioni.
Non vi è dubbio che siano proventi
da attività diverse (articolo 6 cts) e come tali soggetti al limite che sarà
indicato nel decreto di prossima pubblicazione.
Ma è altrettanto vero che saranno da assoggettare ad Iva, per espressa
previsione dell’articolo 4, comma 5, D.P.R. 633/1972. Sappiamo, però, che le
sponsorizzazioni, ai sensi dell’articolo 79, comma 5, cts, non gravano ai fini dell’individuazione della natura commerciale o meno
dell’attività.
Nel caso in cui fossimo in questa seconda fattispecie, la
rivalsa Iva sarà applicabile? e sulla base di cosa?
Infine, le odv e
le aps che
applicano il regime forfettario di cui all’articolo 86 cts dovranno assoggettare ad Iva le
loro sponsorizzazioni?