
martedì 1 ottobre 2019
Discutibile sentenza della CTR Lombardia sulle sportive dilettantistiche - di Guido Martinelli
La CTR Lombardia ha recentemente adottato una decisione (Sez.
XXI, sentenza n. 2294 del 28.05.2019) non priva di spunti di criticità.
Tutto nasce da un avviso di accertamento in cui viene contestato che una
associazione abbia svolto una vera e propria attività commerciale con scopo di
lucro ad opera di due fratelli, ritenuti soci di fatto del contribuente, riclassificato
come ente commerciale, beneficiando quindi impropriamente
della L. 398/1991 (e della quale comunque non vi è prova
dell’effettivo utilizzo).
Oggetto dell’attività era un bacino di pesca sportiva “ad
uso esclusivo degli associati che in modo del tutto volontario” collaboravano
con le due persone fisiche coinvolte a titolo personale nell’apertura
dell’impianto e nella sua gestione.
In primo grado la CTP Sondrio ha respinto il
ricorso dell’associazione e delle due persone fisiche coinvolte sulla
cui decisione la contribuente ha interposto appello.
La parte di maggiore interesse deriva da uno dei punti cardine del ricorso del
contribuente: la difesa secondo la quale il fatto che alcune delle
attività svolte nella sede dell’attività avessero natura commerciale, e come
tali fossero suscettibili di generare utili, non comportava, necessariamente,
la trasformazione della associazione in società lucrativa, né la
configurazione di una società di fatto tra gli associati.
L’Agenzia, d’altro canto, eccepiva che l’associazione in esame non
possedeva: “i requisiti previsti per le associazioni sportive
dilettantistiche” in quanto non aveva istituito alcuna delle scritture
contabili previste dalla normativa vigente, mancava la
partecipazione dei soci alla attività sociale, non erano stati
attivati registri sociali, mancava la redazione ed approvazione
del bilancio: in sintesi è stata riscontrata l’assenza di
una gestione amministrativa trasparente.
La CTR rigetta il ricorso. In via preliminare confermando la tendenza
giurisprudenziale ormai consolidata, e cioè che è l’ente associativo,
indipendentemente dai requisiti formali posseduti, che deve
dimostrare l’effettivo diritto a godere delle agevolazioni previste per
tali tipi di enti.
Ribadisce, poi, che, oltre ai vincoli statutari previsti dall’articolo 90, comma 18, L. 289/2002, deve comunque
sussistere una organizzazione con un ordinamento interno a base democratica.
Pertanto, sulla base della totale assenza dei presupposti collegati
alla vita associativa, ne fa conseguire il Giudicante di appello, il rigetto
del ricorso.
Ribadisce, poi, la sentenza, che: “deve ritenersi acclarato che i
soci tesserati del C.. nella sostanza erano meri clienti di un soggetto (non
avente scopo di lucro che invece esercitava una vera e propria attività
commerciale) ad opera dei sigg…. (soci di fatto del C..) i quali si
sono avvalsi, impropriamente, delle agevolazioni fiscali previste
per le associazioni sportive dilettantistiche; soci di fatto che hanno
totalmente occultato materia imponibile”.
Ne fa risultare che risulta confermata la tesi erariale secondo
cui i due presunti soci di fatto “hanno svolto una vera e propria attività
commerciale in proprio avendo la piena disponibilità della cassa con
cui gestivano gli introiti (incluse le quote dovute al tesseramento dei soci) e
procedevano al pagamento dei fornitori esclusivamente per contanti..”
La decisione della CTR Lombardia ci induce ad un paio di riflessioni.
La prima legata al mancato rispetto, da parte delle associazioni, di quel
minimo di organizzazione (regolare convocazione delle
assemblee, rendicontazione economica delle attività svolte, trasparenza nelle
transazioni) che, ovviamente, in sede di accertamento porta a disconoscere
la natura associativa dell’ente.
Come già ricordato, le associazioni pensano con la testa
dell’assemblea e agiscono con quella del consiglio direttivo.
La circostanza che non vi sia la possibilità di provare questo
modus operandi sicuramente pone il contribuente in una situazione di
difficile difesa della sua natura giuridica.
Ma se di questo occorre dare pacificamente atto, sia all’ente accertatore
che al Giudicante, la critica che emerge è quella della equazione
“attività commerciale uguale finalità lucrativa” che appare erronea e
fuorviante.
La sentenza è antecedente, anche se di pochissime settimane, alla risoluzione 63/E/2019 della Agenzia delle entrate che correttamente ha
ribadito che lo svolgimento di una attività commerciale non
costituisce, di per se, segnale di finalità lucrativa.
E ciò è ancora più vero per le associazioni sportive dilettantistiche
per le quali il legislatore, consapevole della particolarità dell’attività
svolta, ha espressamente riconosciuto l’inapplicabilità dell’articolo 149 Tuir sulla perdita della natura di ente
non commerciale.
Pertanto una asd rimane ente non commerciale a prescindere
dalla tipologia di attività svolta, anche se e ove fosse
esclusivamente di natura commerciale.
La perdita della qualifica deriverebbe esclusivamente dalla prova di una
effettiva distribuzione di utili, prova che, dalla lettura della sentenza, non
si evince sia stata fornita.